Una sequenza di eventi di portata storica ha spinto i prezzi dei metalli a dinamiche estreme e imprevedibili. Partiamo dal contesto di partenza. Negli ultimi decenni lo sviluppo tecnologico, il digitale, la robotica e l’innovazione hanno richiesto un uso sempre più massivo di particolari metalli (il rame, per esempio, è utilizzato in tutti i congegni elettrici che ormai accompagnano la nostra vita). Queste materie sono sempre più richieste e quindi preziose. L’Occidente ha inoltre pensato di trasferire produzione e fornitura di questi metalli fuori da propri confini, rendendosi dipendente da Paesi terzi spesso non democratici. Una strategia azzardata che, alla prima difficoltà, ha evidenziato il punto di rottura. Anzi, di fusione.
Nella convulsa ripartenza post-Covid infatti le catene di fornitura internazionali sono andate in crisi, con porti bloccati, navi all’ancora e strozzature nel commercio internazionale che hanno reso introvabili alcune materie prime. Poi, la guerra tra Russia e Ucraina – insieme detentrici di grandi riserve di metalli – ha definitivamente fatto esplodere il mercato.
Guerra in Ucraina e previsioni nere
La banca d’affari Morgan Stanley, sempre attenta ai trend futuri, pronostica che nei prossimi anni non ci saranno nichel, alluminio e palladio a sufficienza per rispondere alla domanda mondiale. Per cui, data la scarsità, gli acquirenti sono pronti a spendere sempre di più. Tanto è vero che dall’inizio del conflitto l’alluminio ha sfondato per la prima volta nella storia quota 4 mila dollari per tonnellata. Il rame è arrivato a quasi 11 mila dollari per tonnellata, mentre il palladio ha raggiunto e in certi periodi anche superato i 3 mila dollari l’oncia. Il nichel a inizio marzo è andato oltre i 48 mila dollari a tonnellata, con un aumento del 67% in pochi giorni che ha costretto la Borsa dei Metalli di Londra a chiudere le contrattazioni. Ovviamente queste quotazioni sono soggette a speculazioni e a variazioni repentine, e spesso dopo i picchi i prezzi tornano a scendere, ma certo i trend sono esasperati.
Il peso dell’energia
Tra l’altro quando c’è un problema spesso ne arriva un altro ad aggravare la situazione. Estrarre alluminio, ferro o altri metalli richiede un massiccio uso di energia e i rincari di questi mesi, anche a tre cifre, condizionano i conti delle società minerarie. Poiché la bolletta energetica pesa per loro circa un quarto dei costi totali, aumentando l’importo della stessa, aumentano di conseguenza i prezzi finali dei prodotti. Per cui le fiammate inflazionistiche di gas e petrolio scatenano quella, ulteriore, sui prezzi dei metalli. Queste dinamiche hanno quindi riflessi su l’economia del pianeta, con intere filiere (dalla meccanica all’automotive, passando per quella degli apparecchi tecnologici a molto altro), che sono costrette ad alzare i prezzi. Le conseguenze, purtroppo, sono ancora tutte da valutare.
Certamente in futuro si dovrà evitare di perseverare in alcune scelte sbagliate del passato. Tuttavia, già da ora, si deve pensare ai mercati internazionali dei metalli come un elemento fondamentale della nostra sicurezza economica e industriale. Quindi, del nostro benessere.
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