La guerra dei metalli
Alla guerra sul terreno ucraino combattuta con carri armati, granate e kalashnikov se ne somma un’altra, meno evidente ma globale e, soprattutto, condizionante per la vita quotidiana nostra e delle nostre imprese. Il conflitto, tra i molti effetti collaterali ha infatti rivoluzionato il mercato internazionale dei metalli: da un lato l’invasione russa ha rallentato e talvolta bloccato la produzione, la lavorazione e l’esportazione di metalli in quel territorio; dall’altra le sanzioni verso Mosca hanno fortemente limitato gli scambi internazionali, l’export di metalli che proprio dal Paese di Putin prende il largo verso tutto il mondo. Se contiamo che, sommati insieme, i due belligeranti sono tra i principali fornitori di materie prime e detengono il 10% delle riserve mondiali di ferro, le conseguenze sui mercati dei metalli non possono essere sottovalutate.
Attacco al ricco sottosuolo ucraino
L’Ucraina dispone complessivamente di circa 30 miliardi di riserve ferrose, con quasi 90 depositi sparsi su tutto il territorio nazionale. Alcune di questi siti si trovano nelle zone di guerra come Mariupol e Severodonetsk, altri nel Donbass ora controllato dall’Armata Rossa. Fino a prima dello scoppio della guerra, Kiev era il sesto produttore di acciaio, mentre adesso è un grande punto interrogativo. È evidente che se con il conflitto anche solo una parte di quelle riserve dovesse diventare indisponibile, o se i russi ne dovessero prendere il controllo, la scarsità di ferro che già oggi minaccia molte imprese potrebbe diventare esiziale. Ma non solo. Oltre a quello del ferro, molti altri segmenti del mercato dei metalli potrebbero subire ripercussioni. Nell’ampio territorio ucraino ci sono infatti complessivamente il 5% delle risorse minerarie di tutto il pianeta, tra cui il 20% di grafite, il 6% di titanio, l’1,8% dell’uranio mondiale), senza dimenticare la più ampia quantità di manganese di tutto il Vecchio Continente e la seconda riserva mondiale di gallio.
La Russia vuole dare le carte.
La scelta del Cremlino di invadere l’Ucraina è motivata anche dalla copiosa presenza di miniere di metalli del Paese. E l’aggressione ha anche un suo corollario sul piano geoeconomico. Come per l’energia, o per alcuni beni alimentari quali grano e mais, la Russia è infatti Paese esportatore di materie prime, per cui ne riesce a controllare sia la quantità di approvvigionamento che a condizionarne i prezzi. Se riuscisse a prendere controllo totale del territorio ucraino, tale condizionamento sarebbe ancora più pervasivo. Partendo dai dati, Mosca è già il primo produttore globale di palladio, il terzo di nichel e alluminio e comunque tra i maggiori fornitori di acciaio. Con Kiev o ampie parti di Ucraina sotto il proprio controllo, potrebbe estendere ancora di più la propria sfera di influenza.
Al momento non sembra esserci modo per di liberarsi in fretta da questo condizionamento. A differenza di grano e mais, dove è sufficiente rivolgersi ad un altro produttore, qua si parla di materiali che non si trovano altrove. Impossibile poi pensare di risolvere il problema con l’apertura di nuovi giacimenti visto che in media, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, passano 16 anni dalla scoperta di una miniera alla prima estrazione.
La nota dolente è che questi metalli sono indispensabili per molte nostre industrie. Poche dunque le risposte possibili. Una, certamente, è l’economia circolare.
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